Cesare Beccaria Bonesana, marchese di Gualdrasco e di Villareggio (Milano, 15 marzo 1738 – Milano, 28 novembre 1794), è stato un giurista, filosofo, economista e letterato italiano considerato tra i massimi esponenti dell’illuminismo italiano, figura di spicco della scuola illuministica milanese.
La sua opera principale, il trattato Dei delitti e delle pene, in cui viene condotta un’analisi politica e giuridica contro la pena di morte e la tortura sulla base del razionalismo e del pragmatismo di stampo utilitarista, è tra i testi più influenti della storia del diritto penale ed ispirò tra gli altri il codice penale voluto dal granduca Pietro Leopoldo di Toscana.
Nonno materno di Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria è considerato inoltre come uno dei padri fondatori della teoria classica del diritto penale e della criminologia di scuola liberale.
Biografia
Origini familiari e matrimonio Cesare Beccaria nacque a Milano (allora appartenente all’impero asburgico), figlio di Giovanni Saverio di Francesco e di Maria Visconti di Saliceto, il 15 marzo 1738. Fu educato a Parma dai gesuiti e si laureò in Giurisprudenza il 13 settembre 1758 all’Università degli Studi di Pavia. Il padre aveva sposato la Visconti in seconde nozze nel 1736, dopo essere rimasto vedovo nel 1730 di Cecilia Baldroni.
Nel 1760 Cesare sposò Teresa Blasco contro la volontà del padre, che lo costrinse a rinunciare ai diritti di primogenitura (mantenne però il titolo di marchese); da questo matrimonio ebbe quattro figli: Giulia (1762-1841), Maria (1766-1788), nata con gravi problemi neurologici e morta giovane, Giovanni Annibale nato e morto nel 1767 e Margherita anch’essa nata e morta nel 1772.
Il padre lo cacciò anche da casa dopo il matrimonio, così dovette essere ospitato da Pietro Verri, che lo mantenne anche economicamente per un periodo.
Teresa morì il 14 marzo 1774, a causa della sifilide o della tubercolosi. Beccaria, dopo appena 40 giorni di vedovanza, firmò il contratto di matrimonio con Anna dei Conti Barnaba Barbò, che sposò in seconde nozze il 4 giugno 1774, ad appena 82 giorni dalla morte della prima moglie. Da Anna Barbò ebbe un altro figlio, Giulio.
L’Accademia dei Pugni e i primi lavori Il suo avvicinamento all’Illuminismo avvenne dopo la lettura delle Lettere persiane di Montesquieu e del “Contratto sociale” di Rousseau, grazie ai quali si entusiasmò per i problemi filosofici e sociali ed entrò nel cenacolo di casa Verri, dove aveva sede anche la redazione del Caffè, il più celebre giornale politico-letterario del tempo, per il quale scrisse sporadicamente.
Frontespizio dall’edizione del 1780. La copia nella fotografia era proprietà di John Adams, futuro Presidente degli Stati Uniti, di cui si legge il nome scritto a mano, con la data del 1780. La pubblicazione di Dei delitti e delle pene Dopo la pubblicazione di alcuni articoli di economia, nel 1764 diede alle stampe Dei delitti e delle pene, capolavoro ispirato dalle discussioni in casa Verri del problema dello stato deplorevole della giustizia penale. Inizialmente anonimo è un breve scritto contro la tortura e la pena di morte che ebbe enorme fortuna in tutta Europa e nel mondo e in particolare in Francia.
Contro le posizioni di Beccaria uscì, nel 1765 il testo Note ed osservazioni sul libro intitolato Dei delitti e delle pene di Ferdinando Facchinei. Le polemiche che ne seguirono contribuirono alla decisione di mettere il trattato di Beccaria all’Indice dei libri proibiti nel 1766, a causa della distinzione tra peccato e reato.
Dei delitti e delle pene, 1765. Il viaggio in Francia e gli ultimi anni Nel 1766 Beccaria viaggiò poi controvoglia fino a Parigi, e solo dietro l’insistenza dei fratelli Verri e dei filosofi francesi desiderosi di conoscerlo. Fu accolto per breve tempo nel circolo del barone d’Holbach. La sua giustificata gelosia per la moglie lontana e il suo carattere ombroso e scostante, fecero sì che appena possibile tornasse a Milano, lasciando solo il suo accompagnatore Alessandro Verri a proseguire il viaggio verso l’Inghilterra. Il carattere riservato e riluttante di Beccaria, tanto nelle vicende private quanto nelle pubbliche, ebbe nei fratelli Verri, e soprattutto in Pietro, un fondamentale punto di appoggio e di stimolo soprattutto quando iniziò ad interessarsi allo studio dell’economia. Come Rousseau, Beccaria era a tratti paranoico e aveva spesso sbalzi d’umore, la sua personalità era abbastanza indolente e il carattere debole, poco brillante e non portato alla vita sociale; ciò non gli impediva però di esprimere molto bene i concetti che aveva in mente, soprattutto nei suoi scritti.
Tornato a Milano nel 1768 ottenne la cattedra di Scienze Camerali (economia politica), creata per lui nelle scuole palatine di Milano e cominciò a progettare una grande opera sulla convivenza umana, mai completata.
Antonio Perego, L’Accademia dei Pugni. Da sinistra a destra: Alfonso Longo (di spalle), Alessandro Verri, Giambattista Biffi, Cesare Beccaria, Luigi Lambertenghi, Pietro Verri, Giuseppe Visconti di Saliceto Entrato nell’amministrazione austriaca nel 1771, fu nominato membro del Supremo Consiglio dell’Economia, contribuendo alle riforme asburgiche sotto Maria Teresa e Giuseppe II. Fu criticato per questo dagli amici (tra cui Pietro Verri), che gli rimproveravano di essere diventato un burocrate. Gli studiosi, però, considerano questi giudizi ingiusti dal momento che Cesare Beccaria si dedicò ad importanti riforme, che richiedevano una notevole preparazione intellettuale, non solo amministrativa. Fra queste ci fu la riforma delle misure dello stato milanese, intrapresa prima di quella del sistema metrico decimale francese, e a cui Beccaria, insieme al fratello Annibale, dedicò quasi vent’anni della sua vita. (La riforma, notevolmente complessa, coinvolse alla fine solo il braccio milanese. La successiva riforma dei pesi non fu mai realizzata.)
Il suo rapporto con la figlia Giulia, futura madre di Alessandro Manzoni, fu conflittuale per gran parte della sua vita; ella era stata messa in collegio (nonostante Beccaria avesse spesso deprecato i collegi religiosi) subito dopo la morte della madre e lì dimenticata per quasi sei anni: suo padre non volle più sapere niente di lei per molto tempo e non la considerò mai sua figlia, bensì il frutto di una relazione extraconiugale delle numerose che la moglie aveva avuto. Beccaria non si sentiva adeguato al ruolo di padre, inoltre negò l’eredità materna alla figlia, avendo contratto dei debiti: ciò gli diede la fama di irriducibile avarizia. Giulia uscì dal collegio nel 1780, frequentando poi gli ambienti illuministi e libertini. Nel 1782 la diede in sposa al conte Pietro Manzoni, più vecchio di vent’anni di lei: il nipote Alessandro nacque nel 1785, ma pare fosse in realtà il figlio di Giovanni Verri, fratello minore di Pietro e Alessandro, e amante di Giulia. Prima della morte del padre, Giulia abbandonò il marito, nel 1792, per andare a vivere a Parigi insieme al conte Carlo Imbonati, rompendo i rapporti definitivamente col padre, e temporaneamente anche con il figlio.
Beccaria morì a Milano il 28 novembre 1794, a causa di un ictus, all’età di 56 anni, e trovò sepoltura nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina, in una sepoltura popolare (dove fu sepolto anche Giuseppe Parini) anziché nella tomba di famiglia. Quando tutti i resti vennero traslati nel cimitero monumentale di Milano, un secolo dopo, si perse traccia della tomba del grande giurista. Pietro Verri, con una riflessione valida ancora oggi, deplorò nei suoi scritti il fatto che i milanesi non avessero onorato abbastanza il nome di Cesare Beccaria, né da vivo né da morto, che tanta gloria aveva portato alla città. Ai funerali di Beccaria era presente anche il giovane nipote Alessandro Manzoni (che riprenderà molte delle riflessioni del nonno e di Verri nella Storia della colonna infame e nel suo capolavoro, I promessi sposi), nonché il figlio superstite ed erede, Giulio.