Arthur Schopenhauer

di | 31 Dicembre 2020

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Arthur Schopenhauer (IPA: [ˈaɐ̯tʊɐ̯ ˈʃoːpm̩ˌhaʊ̯ɐ]) (Danzica, 22 febbraio 1788 – Francoforte sul Meno, 21 settembre 1860) è stato un filosofo tedesco, cittadino espatriato del regno di Prussia, e uno dei maggiori pensatori del XIX secolo e dell’epoca moderna.

Il suo pensiero recupera alcuni elementi dell’illuminismo, della filosofia di Platone, del romanticismo e del kantismo, fondendoli con la suggestione esercitata dalle dottrine orientali, specialmente quella buddhista e induista. Schopenhauer crea una sua originale concezione filosofica caratterizzata da un forte pessimismo, la quale ebbe una straordinaria influenza, seppur a volte completamente rielaborata, sui filosofi successivi, come ad esempio Friedrich Nietzsche, e, in generale, sulla cultura europea coeva e successiva, inserendosi nella corrente delle filosofie della vita.

Figlio di un ricco mercante e di una scrittrice, si stabilì a Weimar con la madre dopo il suicidio del padre. Qui conobbe Wieland e Goethe. Con buoni studi alle spalle, decise di dedicarsi alla filosofia e frequentò i corsi tenuti da Schulze a Gottinga e quelli di Fichte a Berlino. Nei confronti di questi, ma anche di Schelling ed Hegel, Schopenhauer nutrì sempre, concorde in questo con Kierkegaard, disprezzo e avversione, definendo Hegel il gran ciarlatano.

Nel 1809 si iscrisse alla facoltà di medicina a Gottinga e, nel 1811, si trasferì a Berlino per frequentare i corsi di filosofia. Ingegno molteplice, sempre interessato ai più diversi aspetti del sapere umano (frequentò corsi di fisica, matematica, chimica, magnetismo, anatomia, fisiologia, e tanti altri ancora), si laureò nel 1813 a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente e, nel 1818, pubblicò la sua opera più importante, Il mondo come volontà e rappresentazione, che ebbe tuttavia scarsissimo successo tra i suoi contemporanei e che cominciò a ricevere qualche attenzione solo vent’anni dopo, nonostante fossero giunti, da più parti, persino riconoscimenti ufficiali.

Dal 1833 decise di fermarsi a Francoforte sul Meno, dove visse da solitario borghese, celibe per convinzione e misogino, nonostante le molte relazioni con donne che ebbe durante la sua esistenza. La vera affermazione del pensatore si ebbe solo a partire dal 1851, con la pubblicazione del volume Parerga e paralipomena, inizialmente pensato come un completamento della trattazione più complessa del Mondo, ma che venne accolto come un’opera a sé stante e fece conoscere al grande pubblico anche le opere precedenti del filosofo. Schopenhauer manifestò per gran parte della sua vita un acuto disagio nei confronti dei contatti umani – atteggiamento che gli procurò, in città, la fama di irriducibile misantropo – e uno scarso interesse, almeno in via ufficiale, per le vicende politiche dell’epoca, quali ad esempio i moti rivoluzionari del 1848 – sebbene si sia interessato, sul finire della sua vita, alla questione dell’Unità d’Italia, prendendo posizione favorevole.

I tardi riconoscimenti di critica e pubblico attenuarono i tratti più intransigenti del suo carattere, tanto che negli ultimi anni della sua esistenza poté addirittura raccogliersi attorno a lui una ristretta cerchia di apostoli, come egli stesso amava definirli, tra i quali il compositore Richard Wagner, lo scrittore David Asher e la scultrice Elisabet Ney. Morì di pleurite acuta nel settembre del 1860, a settantadue anni.

BIOGRAFIA

INFANZIA (1788-1800): Arthur Schopenhauer nasce a Danzica, città prussiano-tedesca, di lì a poco annessa alla provincia della Prussia Occidentale, il 22 febbraio 1788, figlio di Heinrich Floris Schopenhauer (1747-1805), ricco mercante appartenente a una delle famiglie più antiche e ben in vista della città, e da Johanna Henriette Trosiener (1766-1839), donna vivace e salottiera dalle evidenti velleità letterarie. Il nome è scelto dal padre, uomo istruito che intrattenne conoscenze in tutta Europa, in quanto la sua pronuncia è quasi uguale in francese come in inglese, ed è dunque utile per il futuro erede di un’impresa commerciale a carattere internazionale.

Nel 1793, la “città libera” di Danzica entra nell’orbita dello stato prussiano, e Heinrich Floris, liberale, decide di trasferirsi con la famiglia ad Amburgo, città sotto amministrazione imperiale, ma più aperta e tollerante, ben accolto dalla borghesia cittadina. Gli Schopenhauer hanno relazioni amichevoli con personalità fra cui il pittore Tischbein, il poeta Klopstock e il filosofo Reimarus.

Nel 1797 nasce la sorella minore di Arthur, Louise Adelaide detta Adele. Heinrich esprime il desiderio di impartire al figlioletto una cultura quanto più cosmopolita possibile: «Mio figlio deve leggere nel libro del mondo». Arthur segue dunque il padre in un viaggio in Francia e resta nella città di Le Havre, per due anni presso la casa d’un amico di famiglia, imparando così perfettamente la lingua francese e acquisendo i primi rudimenti di quella latina.

Nel 1799 ritorna ad Amburgo, dove comincia a frequentare l’Istituto Runge, compiendo studi a carattere commerciale. Nel 1800, durante le vacanze estive accompagna i genitori a Weimar, (dove fa la conoscenza di Schiller), e poi a Karlsbad, Praga, Berlino e Lipsia.

GIOVINEZZA (1801-1821):Il giovane Schopenhauer prosegue i suoi studi, ma non è soddisfatto. Vorrebbe iscriversi al ginnasio. Il padre lo convince a non abbandonare gli studi: potrà seguirlo in un lungo viaggio attraverso l’Europa se deciderà di proseguire la sua pratica commerciale. Arthur accetta e, per il momento, rinuncia agli studi umanistici.

Tra il maggio 1803 e il dicembre 1804 gli Schopenhauer sono in viaggio per l’Europa, prima in Gran Bretagna, a Wimbledon, dove il giovane Arthur dimora presso il Rev. Lancaster e ha così modo di approfondire la sua conoscenza della lingua e soprattutto della letteratura inglese: legge Shakespeare, Byron, Burns, Sterne, Scott e altri ancora. In una lettera alla madre, anni dopo, deplorerà la bigotteria inglese, un tema che spesso si riscontra nelle sue opere. Da novembre il viaggio prosegue verso Paesi Bassi e Belgio, quindi Parigi e, fino all’estate successiva, nelle altre regioni della Francia. In estate gli Schopenhauer sostano a Vienna, a Dresda e infine a Berlino: da qui la madre e Arthur si recano a Danzica. A fine anno i due fanno ritorno ad Amburgo.

Nel 1805 Schopenhauer inizia il tirocinio commerciale presso la ditta Jenisch di Amburgo. Il 20 aprile il padre muore per un grave incidente: viene ventilata l’ipotesi d’un suicidio, ufficialmente per questioni economiche, ma molto più probabilmente a causa dell’insofferenza da parte della moglie, cosa che il filosofo, anche in futuro, non le perdonerà mai. L’anno seguente, la vedova Schopenhauer si trasferisce a Weimar con la figlia Adele dove, grazie alle sue qualità e al suo fascino, riesce a guadagnare l’amicizia e la frequentazione del suo salotto da parte di personaggi importanti, primo fra tutti Goethe, ma anche i due fratelli Wilhelm e Friedrich Schlegel e Wieland. Arthur intanto è rimasto ad Amburgo a curare gli interessi dell’attività del defunto padre: è combattuto tra l’impegno promesso al padre di proseguire la carriera commerciale e la sua inclinazione umanistica. Non trascura quest’ultima: legge Wackenroder e Sulzer.

A partire dal 1807, il giovane filosofo è indeciso sul da farsi: è legato alla promessa fatta al padre, anni prima, di proseguire l’attività, ma vuole anche intraprendere gli studi classici; teme però sia troppo tardi per dare alla sua vita una svolta così radicale. Nel dubbio un soccorso gli viene dallo storico e studioso Carl Ludwig Fernow, il quale lo esorta a seguire le sue inclinazioni; Arthur si reca dunque a Gotha e diviene allievo dell’umanista Friedrich Jacobs e del latinista Friedrich W. Doering, sotto la cui guida si esercita nella composizione in lingua tedesca e latina; ben presto però è costretto a lasciare la città, a causa soprattutto delle sue satire che gli inimicano l’ambiente. A fine anno si trasferisce a Weimar, ma rinuncia a stabilirsi dalla madre, con cui sono iniziati i primi contrasti, e preferisce prendere alloggio dal grecista Passow.

Dal 1808 al settembre 1809 studia sotto la guida di Passow per quanto riguarda la lingua greca, mentre Cr. Lenz lo segue nel latino. Intanto Fernow (di cui Johanna Schopenhauer ha nel frattempo scritto una biografia) lo avvicina alla cultura italiana e, in particolare, all’opera petrarchesca, la sua preferita tra le italiane. Gli studi non gli precludono però la vita sociale: si reca a teatro e ai concerti, e s’innamora di Karoline Jagemann, un’attrice cui dedica una poesia sentimentale. Al compimento del ventunesimo anno riceve il suo terzo dell’eredità paterna, circa 19.000 talleri.

Il periodo dall’ottobre 1809 all’aprile 1811 vede nuovi studi: si iscrive alla facoltà di medicina all’Università di Gottinga: segue lezioni di fisiologia, anatomia, matematica, di fisica, chimica e botanica; segue anche storia, psicologia e metafisica, ed è soprattutto la passione per quest’ultima che lo spinge ad abbandonare definitivamente gli studi medici e a dedicarsi completamente alla filosofia. Sotto la guida di Schulze studia Leibniz, Wolff, Hume, Jacobi e, infine, Platone e Kant, i filosofi che segneranno il suo pensiero.

Trascorre le vacanze del 1811 a Weimar, dove incontra Wieland, che prevede per lui un futuro di successo. In autunno è a Berlino per ascoltare le lezioni di Fichte, fino ad allora venerato come un grande pensatore. Dallo studio dell’opera di Fichte emerge però un certo disappunto, che presto si tramuta in ostilità. Il filosofo ripiega nuovamente sulle scienze, una materia di studio che sarà sempre tra le sue preferite: si interessa di elettromagnetismo, di astronomia, fisiologia, anatomia e zoologia; segue con grande interesse i corsi di archeologia e di letteratura greca, nonché quelli di poesia nordica. Ha l’occasione di ascoltare le lezioni di Schleiermacher nel 1812, che però non apprezza e, anzi, contesta nei riguardi della teoria della coincidenza fra religione e filosofia, sostenendo che un uomo religioso non ha bisogno di filosofia, mentre il vero filosofo non cerca sostegni (Schopenhauer paragonerà le religioni ad una sorta di “stampella” per spiriti inetti) ma procede libero da imposture dottrinali, affrontando ogni pericolo.

Nel 1813, in seguito alla ripresa delle guerre napoleoniche (Napoleone sarà in seguito aspramente criticato dal filosofo), Schopenhauer abbandona Berlino e si reca nuovamente a Weimar, dove studia Spinoza; si trasferisce poi a Rudolstadt, dove lavora a Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, che manda poi all’Università di Jena ottenendo con ciò la laurea in filosofia in absentia. A fine anno ritorna a Weimar, dove ha l’opportunità di rivedere l’anziano Goethe, sicuramente il personaggio a cui il filosofo sarà più legato nel corso della sua esistenza, citandolo spesso nelle sue opere. Nella primavera 1814 assieme a colui che veniva definito “l’eletto dagli Dei” e il padre della cultura tedesca, Schopenhauer approfondisce la teoria dei colori in accesa critica antinewtoniana. Nel contempo s’avvicina alle culture d’oriente: legge con crescente entusiasmo, su suggerimento dell’orientalista Friedrich Majer, le Upaniṣad indiane.

Nel maggio 1814 si trasferisce a Dresda. È un periodo di grande lavoro, interrotto da alcuni viaggi estivi. Frequenta la galleria d’arte e la biblioteca; legge moltissimo, specie i classici latini (Virgilio, Orazio e Seneca), gli scritti del Rinascimento italiano (Machiavelli), della letteratura tedesca contemporanea (Jean Paul) e, in generale, della filosofia (Aristotele, Bruno, Bacone, Hobbes, Locke, Hume e, ovviamente, ancora Platone e Kant). Il suo interesse per l’ottica lo spinge a pubblicare, nel 1816, un trattato Sulla vista e sui colori. Inizia la stesura della sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione, che porta a termine all’inizio del 1818 e che fa pubblicare, con la casa editrice Brockhaus di Lipsia, nel dicembre dello stesso anno. Questa prima edizione sarà un totale insuccesso, e buona parte delle copie andrà al macero.

Nel settembre 1818 Schopenhauer lascia Dresda e, dopo un breve soggiorno a Vienna, varca le Alpi per raggiungere l’Italia. A novembre è a Venezia, nello stesso periodo in cui in città si trova il grande poeta inglese Byron, fra l’altro molto ammirato dal filosofo. Per una serie di ragioni non ben chiare, i due non si incontrano, nonostante Schopenhauer abbia una lettera di presentazione datagli da Goethe in persona. Ha un’intensa relazione amorosa con una nobile veneziana, Teresa Fuga, che gli rimarrà nei pensieri fino a vecchiaia inoltrata. Lo stesso anno, mentre risiedeva ancora a Dresda, ha una relazione con una domestica; la donna avrà un figlio, probabilmente di Schopenhauer, morto poco dopo la nascita.

Visita poi Bologna, Firenze, Roma e Napoli: impara la lingua italiana, e s’interessa sempre più ad altri autori del panorama poetico della penisola, tra cui Dante, Boccaccio, Ariosto e Tasso, nonostante il preferito rimanga Petrarca. Nel giugno del 1819 gli viene recapitata una lettera della sorella che lo informa dell’avvenuto fallimento della banca Muhl di Danzica, cui le due familiari avevano affidato la totalità dell’eredità e lui 8.000 talleri: Schopenhauer rientra in Germania nella speranza di ottenere il capitale versato, rifiuta di giungere a un accordo con i curatori, che gli avrebbe permesso di rientrare subito in possesso di almeno una parte della somma perduta, e, per due anni, ha difficoltà dal punto di vista economico: nonostante sostenga l’impossibilità dell’insegnamento filosofico (così come l’assoluta inutilità dell’apprendimento delle virtù, che egli giudica innate, ovvero fornite a priori solo ad alcuni eletti), vorrebbe ottenere una cattedra di filosofia e dedicarsi alla carriera universitaria a Heidelberg, Gottinga o Berlino. Decide infine di stabilirsi in quest’ultima città.

Nella primavera del 1820 è libero docente all’Università di Berlino: con inverosimile precisione e audacia fissa gli orari delle sue lezioni in concomitanza con quelle dell’odiato Hegel, che era considerato il maggior filosofo vivente. Ciò gli procura, almeno in principio, un pubblico esiguo ma relativamente fedele; in seguito i suoi corsi saranno per lo più disertati. Nel 1821 incontra Caroline Richter, detta Medon, corista dell’Opera di Berlino. La loro relazione, fra alti e bassi, si concluderà definitivamente nel 1826. Nell’agosto del 1821 è protagonista di un evento spiacevole: disturbato e irritato dai continui rumori che la sua vicina di casa, Caroline Louise Marquet, continua a fare davanti alla soglia della sua abitazione, il filosofo litiga con lei e la spintona facendola cadere dalle scale, causandole danni permanenti. In prima istanza Schopenhauer viene assolto, ma è poi condannato in appello e costretto a versare alla donna un’indennità di cinquanta talleri al mese, fino alla morte della stessa, circa vent’anni dopo.

MATURITA’ (1822-1850): Il 26 maggio 1822 il filosofo riparte per l’Italia. In agosto, dopo qualche tempo sulle Alpi svizzere, si reca a Milano; prosegue per Venezia, per Firenze e per Roma. Nell’estate del 1823 fa ritorno in Germania, passando per Monaco e per Dresda, in cui si stabilisce. Le sue condizioni di salute non sono delle migliori, ma ciò non ostacola il suo lavoro. Legge La Rochefoucauld e Chamfort, vorrebbe tradurre Hume e Bruno. Nel 1823, secondo alcuni, Schopenhauer si sottopose ad un trattamento contro la sifilide, che forse aveva contratto negli anni precedenti, effettuando una cura a base di mercurio e altre sostanze, allora usate per debellare questa malattia. Ad aprile 1825 è a Berlino con la speranza di tenere nuovi corsi universitari. Conosce Alexander von Humboldt; decide di imparare lo spagnolo: nel 1826-27 legge Calderón de la Barca, Lope de Vega, Cervantes e s’appassiona per l’opera di Baltasar Gracián.

Progetta poi di lasciare Berlino e trasferirsi, come docente, a Heidelberg. I contatti del 1828 col rettore di filosofia di quell’università, di posizione hegeliana, non sono esaltanti. Si dedica ancora agli studi scientifici e alle traduzioni: completa la versione tedesca dell’Oràculo manual y arte de prudencia di Graciàn e lo propone nel 1829 all’editore Brockhaus, che lo rifiuta; l’opera apparirà soltanto postuma. Nell’agosto del 1831 fugge da Berlino, colpita dal colera, e si rifugia a Francoforte sul Meno, dove resta fino al luglio dell’anno successivo. Trascorre quindi un anno a Mannheim e, dal giugno 1833, è nuovamente e definitivamente a Francoforte, città che non abbandonerà più fino alla morte. In questo periodo la sua curiosità lo porta a occuparsi di filosofia cinese, magnetismo e letteratura mistica. Nel 1834-36 lavora a Sulla volontà nella natura, opera che rappresenta una summa dei suoi precedenti studi di anatomia, fisiologia, patologia, astronomia, linguistica, magnetismo animale e sinologia. Secondo la formulazione del sottotitolo, l’opera vuol essere «un’esposizione delle conferme che la filosofia dell’Autore ha ricevuto da parte delle scienze empiriche, dal tempo in cui è comparsa».

Nel 1837 esprime la sua personale opinione sul progetto della costruzione e della dedica a Goethe – morto cinque anni prima – di una statua da parte della città di Francoforte; secondo il filosofo dovrebbe trattarsi di un busto, come si confà «ai poeti, ai filosofi e agli scienziati, che hanno servito l’umanità solo con la testa», e recare sullo zoccolo non il nome, bensì la scritta «Al poeta dei tedeschi – La sua città natale». I suoi suggerimenti non vengono accolti. Più successo riscuote invece il suo parere sull’edizione delle Opere complete di Kant, a cura di Karl Rosenkranz e Wilhelm Schubert. Sostenendo che la prima edizione (1781) della Critica della ragion pura, ormai introvabile, sia di gran lunga superiore alla seconda (1787) e rappresenti l’opera più importante dell’intera letteratura filosofica tedesca, scrive a Rosenkranz per indurlo a ripubblicare il libro, cosa che avviene nel 1838. Decide di partecipare a due concorsi, banditi l’uno nel 1837 dalla Reale Società delle Scienze di Norvegia e l’altro l’anno successivo dalla Reale Società delle Scienze di Danimarca per saggi rispettivamente sui temi della libertà del volere e del fondamento della morale.

Nel 1839 viene premiato dalla Società norvegese per il suo saggio Sulla libertà del volere umano: è il primo riconoscimento ufficiale. Il 17 aprile muore a Jena la madre Johanna. L’anno successivo invia alla Società danese la sua opera Il fondamento della morale, ma non ha successo. Nel 1841 i due trattati vengono pubblicati insieme sotto il titolo I due problemi fondamentali dell’etica, ma l’accoglienza della critica è come sempre poco favorevole. Continua i suoi studi sulle civiltà orientali. Nel 1843 Friedrich Dorguth pubblica la sua opera La falsa radice dell’ideal-realismo, dove parla con ammirazione del filosofo di Danzica: è il primo di una lunga serie di scritti con i quali l’autore cercherà di rompere il muro ideologico innalzato attorno a Schopenhauer dalla “congrega dei cialtroni”, come il filosofo spesso avrà modo di definire i seguaci della triade Fichte, Schelling ed Hegel.

Nel 1844 è pubblicata una seconda edizione del Mondo, con l’aggiunta dei cinquanta capitoli di Supplementi ai quali Schopenhauer lavora già da una decina d’anni: l’opera, tuttavia non riscuote successo, ma rimane in commercio. Durante i moti rivoluzionari del settembre 1848 il filosofo è turbato dall’idea che la massa possa prendere il potere, tanto che pensa di dover abbandonare Francoforte. L’anno seguente muore la sorella e Schopenhauer incontra il futuro discepolo Adam Ludwig von Doß.

ULTIMI ANNI (1851-1860): Nel novembre 1851 esce la prima edizione dei Parerga e paralipomena, opera alla quale lavora già dal 1845. Finalmente arriva il successo – tanto che nel 1855 l’università di Lipsia mette a concorso uno studio sulla filosofia schopenhaueriana- e con soddisfazione di Schopenhauer i complimenti più calorosi gli giungono dall’amata Inghilterra. Nel 1854 esce a Francoforte la seconda edizione de La volontà nella natura, che egli accompagna con una trionfante introduzione. Si fa più stretta l’amicizia con l’avvocato e romanziere Wilhelm Gwinner, primo biografo del filosofo. Wagner gli fa avere il libretto di gran parte della tetralogia L’anello del Nibelungo. Schopenhauer, che tra i musicisti predilige Rossini, Mozart e Bellini, apprezza di Wagner più i versi che la musica.

Nel 1858, a settant’anni compiuti, alla morte dell’avvocato Martin Emder, uno degli amici più cari che Schopenhauer aveva nominato suo esecutore testamentario, l’incarico passa a Gwinner, che sarà la persona più vicina al filosofo nell’ultimo periodo. La schiera dei discepoli comincia a crescere: vi entrano a far parte il giornalista Otto Lindner, lo scrittore David Asher e il pittore Johann Karl Bähr. La sua vita è piuttosto ritirata: lunghe passeggiate (Schopenhauer, nella sua Eudemonologia, raccomanda almeno due ore di moto continuo e vivace al giorno, per meglio ossigenare tessuti e muscoli), da solo o in compagnia del cane barboncino Butz, soprannominato poi Brahmā (nome della divinità suprema indù) e Atma (= anima del mondo, in sanscrito), i pasti all'”Englischer Hof” (sempre in compagnia del barboncino, a cui talvolta si rivolgeva chiamandolo “signore”, o lo riprendeva dicendo “tu, umano” quando il cane si comportava male; cambiò persino casa nel 1859 dopo un litigio con un vicino a causa dell’animale), lavoro e letture: legge il Times, il Frankfurter Postzeitung, riviste scientifiche e letterarie tedesche, inglesi e francesi.

In questo periodo scopre Giacomo Leopardi, immergendosi «con molto diletto» nella lettura delle Operette morali e dei Pensieri. La seconda edizione del Mondo si esaurisce. Nel 1859 è la terza edizione: da allora il libro che fu snobbato dalla critica e dal pubblico al suo apparire, è uno dei classici della filosofia mondiale. Negli ultimi anni di vita, soddisfatto del successo letterario, ammorbidisce la sua nota misantropia, e alcuni discepoli frequentano la sua casa, comprese alcune donne, con cui aveva avuto sempre rapporti difficili. Una di esse, la giovane scultrice Elisabet Ney, modella infatti un famoso busto di Schopenhauer.

Dal mese di aprile 1860 si manifestano gravi problemi di salute con difficoltà respiratorie e tachicardia, benché avesse sostenuto che il suo stile di vita sano e la sua igiene avrebbero dovuto consentirgli di vivere per un secolo. Il 9 settembre il filosofo si ammala di polmonite, che degenera subito in pleurite acuta: soffre di tosse e frequenti sbocchi di sangue. Con Gwinner, Schopenhauer continua però a intrattenersi parlando di politica e della questione dell’unità d’Italia. Il 21 settembre fu trovato morto seduto sulla sua sedia.

Nel testamento lascia il suo patrimonio ad un fondo per aiutare i militari prussiani rimasti invalidi durante i moti del 1848, ma dà disposizioni anche per occuparsi e provvedere al suo cane, alla casa con i mobili e i documenti, con un legato per la domestica Margaretha Schnepp. Viene seppellito cinque giorni dopo nel cimitero di Francoforte, alla presenza di pochi fedelissimi, senza nessuna particolare cerimonia, per lui, ateo, che disprezzava la gran parte delle religioni, soprattutto quelle occidentali (lanciando strali non solo contro il Cristianesimo moderno, ma anche contro l’Ebraismo e l’Islam). Sulla lapide non vengono posti né data né epitaffio, solo il suo nome e cognome: Arthur Schopenhauer.

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