Jean Paul Sartre

di | 1 Gennaio 2021

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Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre (AFI: [ʒɑ̃.pɔl ʃaʁl ɛ.maːʁ saʁ.tʁ(ə)]; Parigi, 21 giugno 1905 – Parigi, 15 aprile 1980) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e critico letterario francese, considerato uno dei più importanti rappresentanti dell’esistenzialismo, che in lui prende la forma di un umanesimo ateo in cui ogni individuo è radicalmente libero e responsabile delle sue scelte, ma in una prospettiva soggettivista e relativista. In seguito Sartre diverrà un sostenitore dell’ideologia marxista, della filosofia della prassi e, pur con dei profondi “distinguo”, anche del conseguente materialismo storico. Firma di Sartre

Nel 1964 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, che però rifiutò, motivando il rifiuto col fatto che solo a posteriori, dopo la morte, fosse possibile esprimere un giudizio sull’effettivo valore di un letterato. Nel 1945 aveva già rifiutato la Legion d’onore e, in seguito, la cattedra al Collège de France.

Sartre fu uno dei più importanti intellettuali del XX secolo, influente, amato e criticato al tempo stesso, e uno studioso le cui idee furono sempre ispirate a un pensiero politico orientato verso la sinistra internazionale (negli anni della guerra fredda sostenne talvolta le ragioni dell’allora Unione Sovietica, pur criticandone anche duramente la politica in diversi suoi scritti). Divise con Simone de Beauvoir – conosciuta nel 1929 all’École Normale Supérieure – la propria vita sentimentale e professionale, pur avendo entrambi altre relazioni contemporanee. Ebbe inoltre rapporti di collaborazione culturale con numerosi intellettuali contemporanei, come Albert Camus e Bertrand Russell, con cui fondò l’organizzazione per i diritti umani denominata Tribunale Russell-Sartre.

Secondo Bernard-Henri Lévy, il teatro di Sartre colpisce ancora per i suoi testi, che contengono inquietanti profezie sulla crisi della civiltà occidentale capitalista e consumistica, e per la sua forza. Fu inoltre autore di romanzi e di importanti saggi. Sartre morì nel 1980 al culmine del suo successo di intellettuale “impegnato”, quando ormai era diventato icona della gioventù ribelle e anticonformista del dopoguerra, in modo particolare della frazione maoista, di cui era diventato leader insieme a Pierre Victor (pseudonimo di Benny Lévy), passando dalla militanza nel Partito Comunista Francese a una posizione di indipendenza di tipo anarco-comunista, abbandonando sia il marxismo-leninismo sia le sue derivazioni. Si stima che al suo funerale presenziarono cinquantamila persone. È sepolto nel cimitero di Montparnasse a Parigi.

BIOGRAFIA

L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA (1905-1923): Jean-Paul-Charles-Aymard Sartre nacque il 21 giugno 1905, a Parigi; figlio unico, di famiglia borghese: lo zio si era laureato alla prestigiosa École polytechnique, il padre era un militare di famiglia cattolica, mentre la madre Anne-Marie Schweitzer discendeva da una famiglia di intellettuali e di professori alsaziani e luterani, gli Schweitzer (era cugina di Albert Schweitzer, il celebre missionario e attivista protestante).

Il padre Jean-Baptiste Sartre morì di febbre gialla quando Jean-Paul aveva quindici mesi. A incarnare la figura paterna fu il nonno, Charles Schweitzer, uomo dalla forte personalità, che gli impartì la prima istruzione, prima che Jean-Paul, a dieci anni, iniziasse a frequentare la scuola pubblica. Dal 1907 al 1917 il piccolo «Poulou», come era soprannominato in casa, visse quindi con la madre a casa dei nonni materni. Furono dieci anni felici, in cui fu adorato, coccolato e premiato tutti i giorni, ciò contribuì a far nascere in lui un certo narcisismo. Nella grande biblioteca di casa Schweitzer, egli scoprì molto presto la letteratura. Preferiva leggere piuttosto che frequentare gli altri bambini. Durante tutta la vita Sartre mostrerà sempre tratti di leggero egocentrismo e talvolta asocialità, fatto che ha portato a ipotizzare che avesse la condizione neurologica denominata sindrome di Asperger (lo stesso Sartre parlò di Gustave Flaubert descrivendolo come una persona autistica, e scrisse poi, al proposito, «Flaubert sono io»).

Fin da piccolo soffriva di strabismo, inoltre quando aveva tre anni, perse quasi del tutto la vista dall’occhio destro, già debole per il difetto congenito, a causa di una malattia infantile. Il periodo dell’infanzia fu narrato da Sartre stesso nella sua autobiografia Le parole.

Nel 1917 la madre si risposò con Joseph Mancy, ingegnere nella Marina, che Sartre, a quel tempo dodicenne, avrebbe sempre odiato. Si trasferirono a La Rochelle, dove Sartre rimase fino ai quindici anni: tre anni di sofferenza per lui, passato da un ambiente familiare felice, al contatto con i liceali che gli sembrarono violenti e crudeli. A causa del suo carattere, del suo aspetto fisico e della sua altezza sotto la media, Sartre divenne infatti vittima dei compagni, dei loro scherzi e atti di bullismo verbale.

Verso l’estate del 1920, malato, Jean-Paul Sartre fu portato d’urgenza a Parigi. Preoccupata per l’influsso sul figlio dei cattivi comportamenti dei liceali di La Rochelle, la madre decise di fargli continuare gli studi a Parigi, al liceo Henri IV, dove aveva studiato prima del trasferimento a La Rochelle. A Parigi ritrovò come compagno di studi Paul Nizan, con cui strinse una solida amicizia durata fino alla morte di Nizan, nel 1940. Dopo il baccalaureato, Sartre preparò l’esame di ammissione alla École Normale Supérieure, studiando al liceo Louis-le-Grand.

GLI ANNI GIOVANILI E LA RESISTENZA (1923-1945): Studiò all’École Normale Supérieure di Parigi, dove si laureò nel 1929 in filosofia (ma studiò anche la psicologia, specie la Gestalt e i fondamenti della psicoanalisi freudiana), per insegnarla poi nei licei di Le Havre, di Laon e infine di Parigi. Fu lì che conobbe la futura scrittrice femminista Simone de Beauvoir (da lui soprannominata il Castoro, perché lavoratrice infaticabile; la parola inglese per castoro, beaver, ha inoltre un’assonanza col cognome Beauvoir) con cui condivise vita intima, lavoro e impegno politico, anche se non convivranno mai stabilmente.

Avendo vinto una borsa di studio nel 1933, ebbe l’opportunità di specializzarsi a Berlino, potendo entrare in contatto diretto con la fenomenologia di Edmund Husserl e l’ontologia di Martin Heidegger, e leggendo, tra gli altri, Marx e Rousseau.

Vicino al Partito Comunista Francese, viene comunque arruolato e dopo la capitolazione francese del 21 giugno 1940, avvenuta proprio il giorno del suo compleanno, venne fatto prigioniero dai tedeschi in Lorena con altri militari, e internato in un campo di concentramento per soldati nemici a Treviri; qui, assieme ad altri intellettuali prigionieri di guerra, tra cui due preti cattolici, scrive e mette in scena, per il Natale del 1940, l’opera Bariona o il figlio del tuono. Rifiuta di arruolarsi nell’esercito dei collaborazionisti del Governo di Vichy, e nel marzo 1941, grazie a un medico che fa riferimento alla cecità a un occhio, accompagnato da un documento d’identità contraffatto in cui si fa passare per civile, riesce a farsi liberare, evadendo di fatto dalla prigionia e potendo così partecipare alla resistenza francese nella formazione Combat (la stessa dove militò anche Albert Camus).

GLI ANNI DI GLORIA (1945-1956): In seguito alla Liberazione, Sartre conobbe un successo enorme e per oltre un decennio dominò il panorama letterario francese. Promuovendo l’impegno politico-culturale come fine a sé stesso, la diffusione delle sue idee avvenne specialmente attraverso la rivista che egli fondò nel 1945, Les Temps Modernes. Sartre vi condivise la sua “penna” con, tra gli altri, Simone de Beauvoir, Merleau-Ponty e Raymond Aron.

Nel lungo editoriale del primo numero, pose i principi di una responsabilità dell’intellettuale nel suo tempo e di una letteratura impegnata. Per lui, lo scrittore è presente «qualunque cosa faccia, segnato, compromesso fino al suo più lontano ritiro dall’attività (…) Lo scrittore è “in situazione” nella sua epoca.» Questa posizione sartriana dominerà tutti i dibattiti intellettuali della seconda metà del XX secolo. La rivista è sempre considerata come la più prestigiosa tra le riviste francesi a livello internazionale.

Simbolo di questa gloria surreale e dell’egemonia culturale di Saint-Germain-des-Prés sul mondo, la sua celebre conferenza dell’ottobre 1945, dove una folla immensa, tra litigi e svenimenti, cerca di entrare nella piccola sala che era stata riservata. Sartre in quell’occasione presenta una sintesi della sua filosofia, l’esistenzialismo, in questa fase già modificato da influssi del pensiero marxista, che sarà poi trascritta nell’opera L’esistenzialismo è un umanismo. La sua pubblicazione, da parte dell’editore Nagel, è fatta all’insaputa di Sartre che giudica la trascrizione ex abrupto, necessariamente semplificatrice. Saint-Germain-des-Prés, residenza di Sartre sulla rive gauche, diviene quindi il quartiere parigino dell’esistenzialismo, e allo stesso tempo un luogo di vita culturale e notturna, nel quale si festeggia alla maniera esistenziale. L’esistenzialismo diventa pertanto una vera e propria moda, più o meno fedele alle idee sartriane, e di cui l’autore sembra un po’ superato dall’ampiezza che prende quest’ultima.

Sartre divenne però l’intellettuale più ammirato del momento, e scrisse addirittura testi di canzoni (come per Juliette Gréco), entrando nell’immaginario popolare francese e mondiale come il simbolo dell’intellettuale impegnato.

Intanto, Sartre afferma il suo impegno politico chiarendo la sua posizione, attraverso i suoi articoli su Les Temps modernes: Sartre sposa, come molti intellettuali della sua epoca, la causa della rivoluzione marxista, ma, almeno dal 1956 in poi, senza per questo concedere i suoi favori al partito comunista, agli ordini di un’URSS che non può soddisfare l’esigenza di libertà. Sartre e i suoi amici continuano perciò a cercare una terza via, quella del doppio rifiuto del capitalismo e dello stalinismo.

Nel dicembre 1946, la rivista prende posizione contro la guerra d’Indocina. Nel 1947, Sartre nei suoi articoli attacca il gollismo e il RPF, che considera come un movimento fascista.

L’uscita dal PCF e l’esperienza della terza forza: L’anno seguente, la guerra fredda che avanza conduce Les Temps modernes a combattere l’imperialismo americano, affermando al contempo un pacifismo neutralista; pubblica con Merleau Ponty un manifesto a favore di un’Europa socialista e neutrale.

È allora che Sartre decide di tradurre il suo pensiero in espressione politica, fondando con un conoscente un nuovo partito politico, il Rassemblement Démocratique Révolutionnaire, che ambisce a rappresentare la “terza forza” alternativa allo schieramento USA-URSS. Malgrado il successo di qualche manifestazione, il RDR non raggiungerà mai un numero di aderenti tale da diventare un vero partito. Intuendo una deriva pro-americana da parte del suo co-leader, Sartre rassegna le sue dimissioni nell’ottobre 1949. A questo punto il riavvicinamento con i comunisti iniziò a diventare per lui una soluzione.

Sempre nel 1949 divenne membro di un comitato internazionale, assieme a Pablo Picasso, Tristan Tzara, Pablo Neruda e Paul Robeson, per ottenere la liberazione del poeta turco e comunista Nazım Hikmet, incarcerato dal governo del proprio paese, obiettivo raggiunto l’anno seguente. Con lo stesso Picasso, Simone de Beauvoir, Frida Kahlo e altri, indirizzò nel 1953 un appello agli Stati Uniti per i coniugi Rosenberg, simpatizzanti del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America, condannati a morte e poi giustiziati per presunto spionaggio a favore dell’URSS.

Il compagno di strada del Partito Comunista Francese:

(FR)«Si la classe ouvrière veut se détacher du Parti (PCF), elle ne dispose que d’un moyen: tomber en poussière.»(IT)«Se la classe operaia vuole distaccarsi dal Partito (PCF), essa dispone solo di un mezzo: ridursi in polvere.»
(Les Temps Modernes, 1953)

La guerra di Corea, che scoppia nel giugno 1950, accelera questa evoluzione verso il riavvicinamento al Partito Comunista Francese (PCF). Per Sartre, la guerra implica il fatto che ognuno ora debba scegliere il proprio campo. Merleau Ponty, in disaccordo, lascia allora, dopo Raymond Aron, les Temps Modernes, di cui egli era un membro importante.

Il 28 maggio 1952, il PCF organizza una manifestazione contro la visita del generale Ridgway, che finirà nella repressione e nel sangue, con la morte di 2 militanti e l’arresto di Jacques Duclos, segretario del PCF. L’evento scioccò Sartre in modo tale che egli ne parlerà come di un’autentica «conversione»: egli inizia ormai a sostenere anima e corpo il PCF. Si lancia in un’amplissima spiegazione nell’articolo «I comunisti e la pace»: qui egli chiarisce che il proletariato non potrebbe vivere senza il suo partito, il partito comunista, e che bisogna dunque assimilare il partito comunista al proletariato. Il PCF diventa così il solo partito in favore del quale ci si deve impegnare.

Gli anni successivi saranno pieni di attività politica e filosofica per Sartre, accanto alla sinistra marxista e maoista, e poi anarco-comunista.

LA GUERRA D’ALGERIA E L’IMPEGNO PER I DIRITTI UMANI (1956-1960): Dal 1956 al 1962, Sartre e la sua rivista intrapresero una lotta radicale a favore della causa nazionalista anticolonialista algerina. Nel marzo del 1956, quando i comunisti votarono in favore dei pieni poteri a Guy Mollet in Algeria, Sartre e i suoi amici denunciarono il mito di un’Algeria francese parlando della realtà colonialista. Quindi essi si impegnarono a favore dell’indipendenza, manifestando altresì la loro solidarietà con il Front de Libération Nationale. Les temps modernes fece anche apparire nella primavera del 1957 la testimonianza di Robert Bonneau, un soldato richiamato, che raccontò i barbari metodi adottati durante la guerra in Algeria, come torture, massacri e pulizia etnica.

Sostenne la denuncia dell’algerino Henri Alleg, vittima di tortura:

«La “tortura” non è nulla di inumano, è soltanto un crimine ignobile e lurido, commesso da uomini contro altri uomini, e che altri uomini ancora possono e debbono reprimere. L’inumano non esiste, se non negli incubi generati dalla paura. Basta il calmo coraggio di una vittima, la sua modestia, la sua lucidità, per liberarci dalla mistificazione. Alleg ha strappato la tortura alla notte che la ricopriva.»

Nel settembre 1960 sostiene il manifesto del diritto alla non sottomissione (chiamato manifesto dei 121) e si dichiara solidale con le richieste di aiuto del FLN. Durante il processo a Francis Jeanson, giornalista di Temps Modernes accusato di essere un «portaborse» del FLN, egli proclama il suo assoluto sostegno all’imputato. Questa dichiarazione provoca uno scandalo e, malgrado le proteste di diverse organizzazioni, Charles de Gaulle non volle persecuzioni contro Sartre. Già nel 1957 aveva sostenuto, con Simone de Beauvoir, ma anche con il giornalista militante Georges Arnaud e l’avvocato Jacques Vergès, la causa dell’attivista algerina (torturata dai militari e poi incarcerata in Francia) Djamila Bouhired, che evitò la pena di morte per terrorismo e venne poi amnistiata. Con Simone de Beauvoir e Louis Aragon sostenne anche un’altra militante algerina, Djamila Boupacha.

Questo suo impegno, non di meno, comporta i suoi rischi: nel gennaio 1962, l’OAS, gruppo nazionalista francese di estrema destra, compie un attentato facendo esplodere una parte del suo domicilio, che Sartre aveva abbandonato proprio per timore di rappresaglie.

In questo periodo scrisse anche la prefazione al celebre testo I dannati della terra di Frantz Fanon (divenuto il manifesto dell’anticolonialismo terzomondista), in cui scrive:

«È stato dato l’ordine di abbassare gli abitanti del territorio annesso al livello di scimmia superiore per giustificare il fatto che il colonizzatore li tratti come bestie da soma. La violenza coloniale non si propone soltanto lo scopo di tenere a debita distanza questi uomini ridotti in schiavitù, cerca anche di disumanizzarli. Non si lascerà nulla di intentato per annientare le loro tradizioni, per sostituire le nostre lingue alle loro, per distruggere la loro cultura senza dar loro la nostra; saranno abbrutiti dalla fatica (…) la cosa più urgente, se c’è ancora tempo, consiste nell’umiliare [le vittime], nello sradicare l’orgoglio dal loro cuore, nel ridurli al livello della bestia.»

PROBLEMI DI SALUTE E ULTIMI ANNI (1960-1980):

«Per il suo lavoro, che, ricco di idee e pieno di spirito di libertà e ricerca della verità, ha esercitato una profonda influenza sulla nostra epoca.»
(Motivazione del Premio Nobel per la letteratura del 1964, declinato da Sartre)

Negli anni 1960 la sua salute peggiora rapidamente. Sartre è prematuramente logorato, per la sua costante iperattività letteraria e politica, oltre che a causa del tabacco, dell’alcool che assume in gran quantità, e delle droghe che lo mantengono in forma e gli permettono di mantenere il suo ritmo di lavoro: stimolanti come anfetamine e corydrane, un farmaco composto da aspirina e anfetamine, in gioventù anche l’allucinogeno mescalina (poi sostituì il corydrane con l’hashish e il semplice caffè, in quanto il farmaco era pericoloso per la sua salute malferma) e ansiolitici.

Nel frattempo, sul piano teorico, il filosofo Sartre si occupa di produrre la teoria economica e sociale che servirà a conciliare socialismo e libertà. Si lancia in quest’impresa, che rimarrà incompiuta, con la pubblicazione della prima parte della Critica della ragione dialettica nel 1960.

Dopo di che l’esistenzialismo sembra perdere colpi: durante gli anni 1960, l’influenza di Sartre sulla letteratura francese e sulle ideologie intellettuali diminuisce poco a poco, specialmente nel confronto con gli strutturalisti come l’antropologo Lévi-Strauss, il filosofo Foucault o lo psicanalista Lacan. Lo strutturalismo è in qualche modo l’avversario dell’esistenzialismo: in effetti nello strutturalismo non c’è molto spazio per la libertà umana, essendo ogni uomo imbrigliato nelle strutture che lo sovrastano e sulle quali non ha presa. Sartre è altrove, non si cura di discutere di questa nuova corrente: è interamente impegnato in un progetto personale, rappresentato dall’analisi del XIX secolo e della creazione letteraria, e soprattutto dalla critica di un autore di cui non ha mai condiviso lo stile parnassiano, Flaubert, ma verso cui prova comunque ammirazione e interesse.

Negli anni ’60 fonda con il matematico e filosofo socialista riformista Bertrand Russell, il Tribunale Russell-Sartre, che deve simbolicamente giudicare i crimini di guerra in Vietnam, e che poi si pronuncerà anche sul golpe cileno del 1973, attuato contro il socialista democratico Salvador Allende e altre violazioni di diritti umani.

Nel 1964, fatto che avrà una grande risonanza mondiale, rifiuta il premio Nobel poiché, a suo avviso, «nessun uomo merita di essere consacrato da vivo». Tra i motivi del Nobel, vi era anche il valore letterario della sua autobiografia Le parole. Aveva già rifiutato la Legione d’onore nel 1945, e ancora una cattedra al Collegio di Francia. Questi onori, secondo lui, avrebbero alienato la sua libertà, facendo dello scrittore un’istituzione. Questi suoi gesti resteranno celebri poiché in grado di illuminare lo spirito e lo stato d’animo dell’intellettuale, che dichiarò, pur essendo simpatizzante del blocco comunista (e affermò che il Nobel era secondo lui, comunque, un riconoscimento troppo filoamericano), che avrebbe rifiutato anche il Premio Lenin per la pace o un’altra onorificenza del mondo comunista, qualora l’URSS o altri paesi glielo avessero concesso. Per sottrarsi all’assedio dei mass media nell’occasione del Nobel rifiutato, si rifugiò nella casa di campagna della sorella di Simone de Beauvoir, Hélène.

Nel 1968 manifesta al maggio francese, e viene arrestato per disobbedienza civile, e poco dopo lasciato andare; evita il processo ottenendo, però, l’immediato perdono presidenziale dal suo principale avversario politico del momento, Charles de Gaulle, che affermò «Non si imprigiona Voltaire», con un paragone tra Sartre e il principale intellettuale dell’illuminismo.

Negli ultimi anni assume come segretario personale il giovane Pierre Victor, noto anche come Benny Lévy, che lo assistette durante gli ultimi tempi, e adotta, già nel 1964, una giovane ventinovenne di famiglia ebraica, Arlette Elkaïm (poi nota come Arlette Elkaïm-Sartre), che era stata per tempo brevissimo una sua amante, per poi divenirne invece la figlia. Riceve i giornalisti nel suo appartamento, tra i suoi molti volumi posseduti (tra cui molti romanzi d’evasione, specie “gialli”) e i suoi gatti.

Nel 1974 visitò nella prigione di Stammheim-Stoccarda, in Germania Ovest, il leader della Rote Armee Fraktion (gruppo tedesco dedito alla lotta armata marxista, in maniera analoga alle Brigate Rosse italiane e noto anche come “gruppo Baader-Meinhof), Andreas Baader, in prigione per terrorismo tramite alcuni attentati esplosivi e rapine di autofinanziamento; Sartre incontrò Baader durante uno sciopero della fame collettivo dei detenuti “politici”, e criticò le dure condizioni di prigionia a lui imposte (Baader morirà misteriosamente – come altri membri del gruppo – in prigione nel 1977, suicida o, secondo altri, forse assassinato); benché disse poi alla televisione tedesca di non essere d’accordo con le idee e la prassi della RAF, il filosofo affermò di essere andato a visitarlo per ragioni umanitarie, e che Baader veniva torturato, tenendolo in un disumano isolamento contrario alle convenzioni sui diritti umani. Chiese poi a Baader, senza successo, di chiudere la stagione del terrorismo, poiché la guerriglia e gli atti violenti potevano funzionare contro le dittature militari del Sudamerica, ma non in Europa. Manifestò più volte la sua solidarietà al movimento del ’77, attivo in Italia, ad esempio nel caso del cosiddetto Processo 7 aprile.

Nel 1973 aveva subito un grave ictus, seguito da un’emorragia retinica all’occhio sinistro, l’unico completamente sano. Anche se mantenne la visione periferica, non fu più in grado di leggere o scrivere nel modo in cui era abituato e fu costretto a dettare gli scritti o a registrarli. Oltre a questi seri problemi di vista, che alla fine degli anni ’70 lo porteranno alla cecità quasi completa, soffre di perdita dell’udito dovuta all’invecchiamento e di disturbi respiratori; l’ictus gli lascia inoltre una parziale paralisi al volto e a un braccio, e difficoltà di camminata. Tuttavia, il rifiuto, la rivolta, l’intransigenza si vedono sempre nelle azioni di Sartre, nonostante l’inizio di questo lungo periodo di decadenza fisica.

Dopo un lungo declino fisico, Sartre morì di edema polmonare a Parigi, il 15 aprile 1980 alle 21,00 presso l’ospedale di Broussais dove era ricoverato dal 20 marzo a causa di problemi respiratori, seguiti poi da insufficienza renale acuta con uremia, gangrena e coma (il 14 aprile). Il presidente Valery Giscard d’Estaing propose i funerali di Stato e la tumulazione immediata al Pantheon (onore concesso solo – con le eccezioni di capi di Stato deceduti nelle loro funzioni e personalità della Rivoluzione francese come Marat e Mirabeau – a Victor Hugo nel 1885), ma la famiglia rifiutò, non ritenendo ciò in linea con la personalità di Sartre.

Dopo una commemorazione civile alla presenza di un’imponente folla, venne sepolto nel cimitero di Montparnasse. Sartre non venne sepolto al cimitero di Père-Lachaise, nella tomba di famiglia, per sua esplicita richiesta; dopo una sepoltura temporanea, quattro giorni dopo il funerale il corpo venne cremato presso la struttura apposita del Père-Lachaise stesso, ma le ceneri furono inumate nella tomba definitiva a Montparnasse, in cui verrà seppellita anche la compagna Simone de Beauvoir, morta nel 1986; ella descrisse gli ultimi anni con il filosofo nel libro La cerimonia degli addii (1982), scrivendo che «la sua morte ci separa. La mia morte non ci riunirà. È così; è già bello che le nostre vite abbiano potuto essere in sintonia così a lungo».

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